I retroscena della mia tesi

15 agosto 2017

 

Come dicevo poco tempo fa, sono in fase finale del mio percorso universitario. È divertente vedere la faccia delle persone quando dico: “Vivo qui ad Amsterdam da 10 mesi” – “Lavoro. Però sono anche studentessa. In Italia” – “No, non posso fare gli esami su Skype” – “Si, torno ogni volta in Italia solo per fare esami. E si, esulto quando me ne mettono due in uno stesso giorno” – “No, non mi ha obbligata nessuno. Mi piace complicarmi la vita da sola”.

Nonostante ciò, ho finito tutti gli esami a Siena. Ce l’ho fatta! Ed ora, manca solo la tesi. Anzi, manca solo l’approvazione da parte del professore.

 

Mi piace scrivere

Ho iniziato a scrivere la tesi già qualche mese fa. Essendo la descrizione del progetto svolto durante l’Erasmus traineeship che mi ha portata in Olanda, è risultato un lavoro più semplice, con tante ricerche ed elementi già pronti in partenza.

Nonostante ciò, mentre scrivevo la tesi ho avuto la conferma che mi piace proprio scrivere. E proverò a sfruttare questa cosa nel futuro.

 

Mi racconto agli altri

Basta leggere un capitolo per esserne certi: questa tesi è un racconto autobiografico. Si parla di expat, e – senza rendermene conto – mi sono fatta prendere un po’ troppo e l’ho quasi trasformata in un post di questo blog, solo più lungo. E se mi servivano esempi, citavo storie vissute personalmente.

Una volta che me ne sono accorta, ho iniziato a fare molta più attenzione nello scrivere ed ho provato a contenermi. In fondo, una tesi dovrebbe essere un lavoro scientifico, non ironico.

 

Mi è servita a stare forte

Ho parlato di vita da expat, ho parlato di gioie e dolori di questa vita, ho parlato di difficoltà che portano gli expat a togliersi il sorriso dalla faccia e – a volte – a tornarsene indietro. Ho analizzato tutte queste cose durante il tirocinio, durante i miei primi mesi di vita fuori, quando ancora pensavo sarebbe rimasta un’esperienza molto breve. Ho trascritto e rielaborato il tutto gli ultimi mesi, dopo aver passato vari mesi e vari ostacoli a mia volta.

Ma ero pronta. Sapevo – sulla carta – tutte le fasi che mi sarei ritrovata a passare. Sapevo che avrei avuto giornate di solitudine difficili da superare. Sapevo che avrei fatto fatica a cavarmela in una lingua straniera. Sapevo che mi avrebbero fatto bene le amicizie italiane. Sapevo che avrei dovuto cavarmela da sola. Sapevo che non sarebbe stato sempre facile essere a più di 1000 km di distanza dalla propria famiglia. Sapevo che in certe giornate avrei solamente pensato all’opzione “semplice”, ovvero quella di tornare nella presunta comfort zone.

Ma sapevo anche che avrei dovuto tenere sempre a mente che non esiste più una comfort zone per me. Non esiste più da quel giorno che ho deciso di spostarmi a Siena. O forse, non esisteva nemmeno prima. Sono 7 anni che continuo a cambiare vita. Come posso ancora avere una comfort zone?

E, infine, sapevo che non avrei dovuto perdere di vista le motivazioni che mi hanno fatta rimanere qui. A metà novembre, avevo dato il via ad una sfida. Testarda come sono, non avrei potuto abbandonarla a metà.

 

Scrivere non è stato sempre facile

Nonostante mi piaccia far credere che sia sempre stato tutto rose e fiori, ammetto che non è vero.

Si, ci sono stati giorni nei quali scrivere anche dopo 8 ore di lavoro non mi pesava affatto. Come ci sono stati giorni nei quali le dita scrivevano da sole – come nei film. Ma ci sono stati anche giorni nei quali il blocco dello scrittore si faceva sentire un po’ troppo pesantemente.

Infine, ci sono stati giorni – molti giorni – nei quali, dopo 8 ore in un ufficio con gente che parlava inglese, italiano, olandese, spagnolo, francese, e chi più ne ha più ne metta, il blocco dello scrittore si trasformava semplicemente in ignoranza. Giorni nei quali non sapevo più scrivere una frase in un italiano decente, perché una certa parola mi veniva in mente in tutte le lingue possibili immaginabili tranne che in italiano. Mi sono ritrovata ad aprire il traduttore più volte di quante immaginiate per tradurre una parola dall’inglese all’italiano.

 

Non vedo l’ora di finire

Non so ancora se la mia tesi vada bene oppure no… ma i ringraziamenti erano pronti prima ancora di finire il primo capitolo.

Non vedo l’ora sia finita!

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