Due mesi bastano per dimenticarsi tante cose

6 dicembre 2016

 

La settimana scorsa sono tornata qualche giorno in Italia. Toccata e fuga, sufficiente solo per svuotare la casa a Siena. E per rendermi conto di due differenze tra Italia ed Olanda. Due differenze che per giorni hanno lottato tra loro – una per convincermi che la vita al nord è difficilissima, l’altra il contrario. Non ha vinto nessuna delle due – se vi interessa saperlo. Amo l’Italia, ma dopo questi giorni sono ancora più convinta della spettacolarità di vivere qui. Almeno finché ne avrò voglia.

 

Occhio alla pelle

Ed ecco la prima, incredibile, differenza. Atterro – in ritardo – all’aeroporto di Venezia, corro fuori senza nemmeno guardarmi intorno, salto sul primo autobus diretto a Mestre e spero di arrivare in tempo per il treno. Ma niente, arrivo in stazione e mi ritrovo ad aspettare 50 minuti al binario. Vista la corsa e la levataccia alle 4 di mattina, decido di evitare le scale e fermarmi li. Tentando di auto-convincermi che avrei potuto resistere al freddo. E beh, in quel momento mi rendo conto che non è poi così freddo. Ruoto su me stessa… e vedo il SOLE. Così forte da dover chiudere gli occhi. E da sentire il caldo sulla pelle. Credetemi, mi ha spiazzata. Non ricordavo più di quanto potesse essere bello il calore del sole. E di quanto potesse davvero riscaldare, anche d’inverno. Ero sconvolta.

Giusto per rimanere in tema, vi voglio deliziare con questa favolosa – e assai mossa – foto di quando, un giorno, una mia collega mi disse: “Oh look Maddalena, it’s almost sunny today!!”

Sole

Tra l’altro, oggi ad Amsterdam c’era il sole. Il vero sole, con tutto il cielo sereno. E, pensando che magari fosse colpa della velocità in bicicletta o del troppo tempo chiusa in ufficio, ho provato a rimanere qualche minuto ferma, immobile, con i raggi del sole dritti sulla mia faccia. Beh, posso confermare che il sole qui non scalda. Perlomeno non a dicembre. Nemmeno impegnandomi sono riuscita a sentire un minimo accenno di calore.

 

Password del wifi?

Ritorniamo alla scena di me sul binario a Venezia Mestre. Sentendo la pelle quasi bruciare, decido di farmi un giretto all’interno della stazione. Anche perché erano più di 3 ore che ero senza internet e, per una digital come me, iniziavano ad essere troppe. Specialmente per riuscire a passare 50 minuti senza annoiarmi, non avendo con me libri o computer.

Attivo il wifi sul cellulare e, abituata al fatto che in Olanda anche i kebabbari ti regalano la connessione internet, mi aspetto di trovare mille reti disponibili. Ecco la prima: quella della Giunti! La seleziono più o meno 20 volte finché – non ricevendo nessuna reazione – ci rinuncio. Mi sposto di qualche metro ed eccola lì, finalmente, quella che non può sicuramente deludermi: “VeniceConnected”! Mi connetto ed ecco cosa si presenta davanti ai miei occhi:

Screenshot

 

 

La mia povera mente stanca inizia a fare vari pensieri, esattamente in quest’ordine:

1. Ok, mi chiedi Username e Password. Ma dove mi posso registrare?

2. Che cavolo sarà questo “SPID”? Non capisco, ma magari questa “VeniceConnected” è solo per pochi eletti che ricevono i dati di accesso chissà dove e chissà quando

3. Comunque – a parte che sono riusciti a fare una schermata metà in italiano e metà in inglese senza un’apparente logica – se entro nella “free navigation zone” non posso sbagliare. Io ci provo.

 

 

Bene, la barra arancione del caricamento – che si riesce a vedere benissimo da questo screenshot – è rimasta ferma lì almeno 5 minuti. Finché ho deciso di chiudere il tutto e di vivere offline per le successive ore.

Per mia fortuna, arrivata a casa mi sono ricordata di avere ancora quel mini modem portatile della Vodafone che mi aveva salvato la vita varie volte a Siena. Tuttora con un’opzione Internet attiva. Che mi ha fatto compagnia nella borsa fino a quando non ho ripreso l’aereo per tornare in un mondo nel quale treni, paninari e – probabilmente – anche bancarelle del mercato ti mettono a disposizione il wifi.

 

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